Kristian Keber
Conosco la prima volta Kristian Keber alla fiera dei vignaioli indipendenti di Udine e mi riprometto di andarlo a trovare nella sua cantina. Ed eccoci qua, penna, Moleskine, macchina fotografica, davanti al trattore su cui sta lavorando, tanto per darvi l’idea di che pasta è fatto. Giovane, figlio del grande Edi, uno che ha fatto la storia della viticultura nel Collio, dunque figlio d’arte, ma Kristian sembra non risentire di questa responsabilità perché si sente, ed è, un predestinato. Ci chiede di aspettarlo, sta finendo un lavoro e poi sarà tutto nostro. Che meraviglia scorgere, nella breve attesa, le basse colline di Zegla ricoperte da vigneti, in questa fresca giornata d’autunno riscaldata appena dai raggi del sole. Arriva con piglio deciso, ha l’aspetto del vignaiolo di razza, i modi gentili ma mai affettati . Ci accomodiamo nella taverna. Prende i bicchieri e stappa subito una bottiglia di Collio K. 2015. L’idea era quella di un’intervista, una di quelle tradizionali, una decina di domande brevi, una decina di risposte brevi e tutti a casa. Invece, il vignaiolo di razza, oltre ad avere le mani sporche di terra ha una mente raffinata e, al primo accenno alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), prende il La e non si ferma più. Al diavolo le domande.
“La Fivi non ha uno scopo commerciale, ma quello di rappresentare i piccoli vignaioli davanti alle istituzioni nazionali ed europee, unico modo di fare rete contro la grande industria che, causa il peso dei numeri (ettari compresi), rischierebbe di essere l’unico interlocutore con le istituzioni. Non è un sindacato che offre servizi, non abbiamo dipendenti né uffici di accoglienza, ma siamo una voce potente e sempre più forte che tutela gli interessi del territorio, dalla sua salvaguardia alla sua promozione.”
Altra bottiglia di Collio K ma diversa annata: 2010. Il Collio Edi Keber è un vino che ti sorprende da subito, dal suo colore lucente. Ha una colonna robusta data dalla mineralità che trova origine nella Ponca (terreno del Collio). Il sorso è fresco, quasi salato, complesso, con il Tocai che domina il blend arricchito come tradizione dalla Ribolla e dalla Malvasia istriana. Il 2010 ha un equilibrio particolarmente raffinato.
Assaggio il vino, guardo Kristian è penso che si assomigliano. Entrambi sinceri, veri, con una spina dorsale robusta e una voce chiara. Un vino e un giovane uomo decisi, perché fieri di essere “Collio”.
Ricominciamo a chiacchierare di vini, leggi, uve, storia, Piemonte, insomma ad entrambi piace bere e parlare. Lo ascolto rapito e in lui ritrovo la voce del guerriero che con “giovanile ardore” difende la sua terra, le sue tradizioni, contro un mercato che guarda al profitto e poco alla qualità e al “gusto” di una terra. Ha la grinta dei politici di una volta, quando politica era arte nel suo significato etimologico.
– Kristian quali sono i vini dei tuoi vicini di casa (e hai un bel vicinato) che ti piacciono di più?
– Amo Raccaro, il suo Tocai è bello perché contro corrente, alcolico, ma ne potresti bere a fiumi. Klinec e le sue macerazioni perchè da lui sto bene, Movia perché ha una mano con i vini molto buona e mi piace Podversic. La Malvasia 2012 di Skerk è uno dei migliori vini che ho mai bevuto. Picech perché il suo vino non è facile ma è il vero vino di una volta.
– E i vini lontani che più ami?
– Premesso che il mio gusto è in continua evoluzione oggi amo il Rodano, l’Hermitage e lo Châteauneuf du Pape e ancora il Gruner Veltliner; ho smesso coi Riesling, troppa acidità, troppi idrocarburi, anche se ti fa capire quanto conti il terroir.
– Le bollicine ti piacciono?
– No, se posso non le bevo. – sorride – Sono un bianchista. Forse mi piace la Ribolla gialla spumantizzata di Gaspare Buscemi, mio vicino di casa, un grande artista sconosciuto, un grande esperto.
– Un vino italiano che non dimentichi?
– Il Monfortino di Giacomo Conterno annata 58, davvero indimenticabile.
Prima di congedarci ci fa visitare la cantina, bella, pulita, profumata di mosto. Il sancta santorum dei Keber dove le vecchie bottiglie testimoniano il passato, e poi le botti e i grandi contenitori in cemento ricolmi del vino appena nato che presto sarà selezionato abilmente da per diventare ancora il Collio K .
“Quando si fa un vino, sull’etichetta non serve scrivere altro se non il nome del vino, la zona e il produttore. Quando faccio il Collio o il Brda non devo seguire le mode ma dare il meglio di me selezionando le uve e i vini, ricreando in bottiglia il mio mondo che è la terra dove vivo e sono nato. Devo esprimere il gusto che arriva da lontano, dalla varietà delle uve che ho ereditato. Questo è ciò che so è che amo fare.”
Il Collio K e il Brda K sono manifesto di un terroir, manifesto di un gusto, manifesto di una grande Famiglia.
Grazie Kristian, alla prossima lunga e piacevole chiacchierata.
Il vino è emozione. G.Lescovelli Docet
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